Mi è stata donata. Una zucca rossa. L’ho avuta tra le mani è ho pensato, per un momento, che potesse trasformarsi nella carrozza della favola. Quella dei bianchi cavalli, della festa, del sogno che diventa realtà, dei perdenti che vincono, del bene e della giustizia che infine trionfano, del “…vissero felici e contenti! “.
Mi è piaciuto per un poco lasciarmi andare all’immaginazione di un prodigio non inquinante, non americano, sobrio e gioioso. Una cosa straordinaria che cambi i giorni e gli eventi, una favola nuova di cui protagonisti potessero essere tutti gli umani eguali e contenti, operosi e gentili.
Mentre l’estate anomala di quest’anno ci lascia, con una luna a metà crescente, coi primi brividi della sera, mentre l’eco di brutti fatti della giornata e degli ultimi mesi bui inseguono la mia costernata attenzione, mentre mostri di cattive storie, malefici, irragionevoli e impietosi, rendono odioso il mondo…io sogno.
Tutti, sulla carrozza. Tutti di ogni colore, tutti alla festa di un vivere più umano ed equilibrato.
È durato davvero un istante. Il tempo di riporre la zucca che domani arricchirà il mio risotto.
Breve sogno, che costa? Esso, almeno, non fa male a nessuno!
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Sappiamo sognare?
“Il sognatore, se proprio occorre darne una definizione precisa, non è un uomo, ma, sapete, una sorta di essere di genere neutro. Egli prende dimora per lo più in qualche angolo inaccessibile, come se volesse nascondersi in esso persino alla luce del giorno, e se si ritira in casa sua mette radici nel suo angolo come una lumaca, oppure per lo meno è assai simile a quel curioso animale che è nello stesso tempo un animale e una casa insieme, e che si chiama tartaruga.” (da “Le notti bianche” di Fëdor Dostoevskij).
Leggendo questa citazione mi domando e vi domando: siamo ancora in grado di sognare? Lo chiedo a me stessa che del sogno ho fatto e faccio nutrimento e imput creativo. (Tuttavia, pur riuscendo a sognare molto, ho sempre cercato di tenere vigile una sorta di sguardo razionale su me stessa. Quello che mi impedisse di uscire fuori dalla realtà.)
Questo nostro tempo è come se avesse atrofizzato la capacità del sogno, in quanto ha reso sempre più asfittico il desiderio. Ovviamente molti sognano il cellulare o l’auto di ultima generazione, altri un ‘ritorno’ a un orribile nero passato, altri ancora che si riattizi il fuoco purificatore delle leggi razziali, molti il ritorno alla cara, vecchia lira…
E questi sogni poveri, sterili e allarmanti, vengono confezionati e proposti con puntuale somministrazione quotidiana, sui social.
Quando ancora sfogliavo, ( fino al 5 marzo scorso), le pagine di Facebook, assistevo alla esternazione di molti, troppi sogni di tale portata. Indotti, malati, pericolosi, malevoli.
Il personaggio di Dostoevskij descrive se stesso chiuso al mondo, rincantucciato a sognare in un corpo/tana/casa ma… basterebbe leggere il romanzo per vedere che egli andava in giro per tutto il giorno, fino a notte, per raccogliere vita, volti, sguardi, profumi,suggestioni, architetture, paesaggi e luci da portare poi con sé per costruire, dopo, lunghi, appaganti sogni degni di questo nome.
Se Fĕdor, il mio adorato Fëdor… fosse stato tra i miei amici di Facebook, forse non avrei abbandonato il social.
E avrei riempito di like ogni suo post…
Per oggi, no!
No ponti, no crolli, no scosse, no spari, no morti e feriti, no guerre e soprusi. No bombe, no torture, no truffe, no ricatti, abbandoni, macerie…
Non voglio parlare di nulla che sia solo dolore.
Non voglio scrivere di attualità: il fatto cotto e mangiato, caldo di umori sanguigni, fumante di rancore, di accuse e controaccuse.
Non voglio attualità, oggi. Mi sfianca, mi spossa, mi affanna. Non mi serve.
Se non posso combattere e evitare il dolore del mondo perché parlarne, perché soprattutto scriverne!
Da giorni rimango in silenzio.
Ferragosto in tonalità sud-ovest, mare molto mosso, non lo frequento che con gli occhi e mi lascio saziare. sferzate sulla nuca, una canzone in loop, meravigliosa e snervante, come la coscienza che riporta a galla la consapevolezza dei mali del mondo.
Fabbricare un desiderio, un sogno veloce, volare in alto tra le vele sfilacciate di un ombrellone ridotto in brandelli. Volare in un film che si compie in una sola ora con un finale di infinita bellezza su quella canzone in primissimo piano e il bicchierino di caffè che il vento mi ha rubato dalle mani, prima che finissi di bere, e rotola sull’asfalto. Ridente come la bocca di un bambino.
Questo voglio oggi: nascondermi alla consapevolezza che ho e che mi crea puro, sterile dolore.
Sciopero temporaneo della cognizione. Felicità mordi e fuggi, il sole, acchiapparne il più possibile. Masticare aria salmastra e cotoletta con contorno di rossi, carnosi pomodori.